venerdì 29 luglio 2011

Quando lo squalo bianco salta in barca...


È successo in Sudafrica a un gruppo di ricercatori della Oceans Research: uno squalo lungo tre metri è balzato sullo scafo, senza fare vittime ma rimanendo intrappolato. Il fotoracconto del suo salvataggio e del coraggio di due biologi che hanno spinto con le mani il gigantesco predatore A Mossel Bay.

Vicino Città del Capo in Sudafrica, un gruppo di ricercatori la scorsa settimana era impegnato in un'attività di routine: identificare gli squali presenti nella zona, attirandoli con esche e fotografando le loro pinne, che sono l'equivalente delle impronte digitali per gli esseri umani.

"Il nostro team aveva già identificato quattro squali, tra cui Pasella, una vecchia conoscenza, e da alcuni minuti l'attività era ferma. All'improvviso un gran frastuono: uno squalo bianco di circa tre metri e pesante mezza tonnellata con un balzo è saltato lateralmente rispetto alla barca piombando a poppa, sfiorando una paio di persone", racconta Enrico Gennari, biologo italiano raggiunto telefonicamente, e direttore di Oceans Research, un istituto indipendente che svolge ricerche sugli squali e che collabora con università e centri studi (in passato ha collaborato anche alla realizzazione di documentari per National Geographic).

"Dibattendosi lo squalo è rimasto bloccato a poppa, distruggendo varie apparecchiature. La ricercatrice Dorien Schroder dopo aver messo in salvo i sei membri dell'equipaggio, tra cui tirocinanti e biologi in visita, ci ha chiamato", continua Gennari.
"Io e Ryan Johnson ci siamo precipitati. Abbiamo subito gettato acqua sulle branchie dello squalo per tenerlo in vita. Non pensavamo fosse così grande e quindi non disponevamo di strumentazione particolare. I primi tentativi di rimetterlo in acqua con delle corde sono falliti".


venerdì 22 luglio 2011

L'impronta digitale dello squalo balena


Un progetto di scienza partecipata coinvolge gli appassionati subacquei nello studio della biologia degli squali balena. Per costruire l’anagrafe di questi animali i ricercatori utilizzano un metodo nato per studiare le stelle.
A partecipare a Ecocean, questo il nome del progetto, è chiamato chiunque voglia provare a fotografare o filmare questi animali, le cui immagini possono essere caricate su un sito e messe a disposizione degli studiosi. Un bell’esempio di quella che viene chiamata “citizen science”, la scienza partecipata che prevede l’intervento dei singoli (cittadini appunto) nel processo di costruzione della scienza, ad esempio raccogliendo dati utili alla ricerca.



Ecocean è nato grazie all’intuizione di Jason Holmberg, un insegnante inglese che dopo aver visto il suo primo squalo balena durante un’escursione subacquea, si è appassionato a questi animali, tanto da decidere di accompagnare un gruppo di ricercatori in una spedizione dedicata proprio allo studio di Ryncodon typus. Fino ad oggi per studiare questi animali si sono utilizzati sistemi tradizionali, come l’applicazione di targhette di plastica per riconoscerli a distanza di anni. È un metodo classico della ricerca in biologia che serve a capire come si muovono e come crescono gli animali. Non è semplice però da realizzare, bisogna catturare lo squalo e basta che perda la sua targhetta, cosa che avviene abbastanza di frequente, per veder sparire l’oggetto della propria ricerca.


Il fatto che questi animali avessero macchie diverse ognuno dagli altri ha fatto nascere l’idea di usare questa particolarità per riconoscerli: grazie al coinvolgimento di altri ricercatori l’idea è stata portata avanti con successivi aggiustamenti fino ad arrivare all’attuale sistema. Si tratta di un programma sviluppato dagli astronomi Zaven Arzoumanian e Ed Groth della Princetton University che utilizza un algoritmo creato originariamente per studiare le fotografie del cielo stellato, comparando la disposizione delle stelle. Adoperato inizialmente dagli astrofisici per studiare le immagini del telescopio Hubble, il sistema è stato poi adattato dal gruppo di Holmberg per riconoscere la disposizione delle macchie degli squali e poterle riconoscere in immagini diverse.

Questo metodo offre nuove opportunità agli studiosi: gli squali balena sono animali migratori che si muovono su lunghe distanze, poterli riconoscere a distanza di anni in luoghi molto diversi consente di saperne molto di più e con minor dispendio di energie e fondi. Il contributo degli appassionati subacquei poi aumenta notevolmente la quantità di dati disponibili.


Fonte: http://oggiscienza.wordpress.com

martedì 5 luglio 2011

I mangiatori di plastica


Negli stomaci dei pesci del Nord del Pacifico ogni anno si accumulano fino a 24mila tonnellate di plastica. Lo ha scoperto una spedizione dell'Istituto californiano Scripps di Oceanografia, che ha analizzato diverse specie che vivono nella North Pacific Subtropical Gyre, la corrente che contiene la famosa ''isola di plastica''.
La spedizione, i cui risultati sono pubblicati dalla rivista Marine Ecology Progress Series, ha analizzato residui plastici, pesci e campioni d'acqua in 132 'stazioni' durante un viaggio di 2.375 chilometri nell'oceano. In 130 di queste sono stati trovati residui di plastica, spesso non più grandi di un'unghia umana, mentre il 9,2% dei 147 campioni di pesci sezionati avevano questo inquinante nello stomaco, il che ha portato a una stima totale fino a 24mila tonnellate di plastica mangiata ogni anno: ''la percentuale probabilmente è sottostimata - spiegano gli autori - perchè la plastica può essere rigurgitata o espulsa e molti pesci possono morire per l'ingestione''. Il numero è comunque molto alto: ''i più colpiti sembrano essere i 'pesci lanterna', che vivono tra 200 e 1000 metri di profondità di giorno e salgono in superficie di notte - continua l'articolo - che sono molto importanti perchè connettono il plancton con gli anelli superiori della catena alimentare''.