sabato 27 dicembre 2014

Pesce palla in Mediterraneo



Continua il lavoro di Massimo Boyer e Francesca Scoccia sulle specie invasive in Mediterraneo.
E' la volta del pesce pallaLagocephalus sceleratus - originario del Mar Rosso, le cui carni sono altamente tossiche anche dopo la cottura. 
Il pesce palla è migrato dal Canale di Suez per arrivare in Turchia, poi Israele, Rodi e nel 2013 è stato segnalato per la prima volta a Lampedusa.

Per saperne di più vi rimandiamo all'articolo di Massimo e Francesca, nel quale il pesce palla viene descritto in dettaglio

martedì 9 dicembre 2014

Specie invasive in Mediterraneo


Massimo Boyer e Francesca Scoccia hanno iniziato la pubblicazione di schede utili per il riconoscimento delle specie che sono entrate in Mediterraneo e per le quali gli avvistamenti stanno diventando sempre più frequenti.
Nella pagina principale abbiamo già condiviso un articolo di Massimo su questo argomento; con piacere e nell'ottica di dare un contributo alla ricerca e perchè il contributo della comunità subacquea (dagli snorkelers ai bombolari passando dai pescasub) sta diventando sempre più importante linkiamo la prima scheda prodotta da Massimo e Francesca relativa al pesce coniglio scuro.



sabato 22 novembre 2014

Concordia: barriere sommerse come risorsa



La scienza scende in campo a sostegno della proposta del Comune del Giglio di non smantellare le strutture d'acciaio subacquee realizzate per il recupero della Costa Concordia.


Su iniziativa dell' dall'Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche Subacquee il gotha della biologia marina ed esperti di scienze ambientali e di subacquea si riuniranno a Genova martedì 25 novembre all'Acquario di Genova per valutare, da un punto di vista scientifico e tecnico, la richiesta del Comune del Giglio.

L'opposizione arriva dal Ministero dell'Ambiente che ha richiesto la totale rimozione di queste strutture e il ripristino dei fondali in base all'accordo stipulato tra Costa Crociere, società assicuratrici, Ministero e Conferenza dei Servizi Stato/Regione. Le barriere sommerse, spiegano gli esperti, in determinate condizioni ambientali favoriscono la nascita di un habitat nel quale molte specie trovano riparo e protezione. Un vantaggio sia sotto il profilo biologico - diventano spesso zone di produzione e di concentrazione di specie anche d'interesse commerciale - che ludico, poiché una barriera diventa un luogo d'immersioni subacquee con ricadute economiche anche di rilievo.
La tematica si estende a situazioni analoghe in Adriatico, dove si trovano molte piattaforme petrolifere disattivate e che potrebbero essere sfruttate a fini ambientalistici e occupazionali. All'incontro sarà presente il sindaco del Giglio Sergio Ortelli. Atteso il ministro dell'ambiente Gianluca Galletti.
“In questo momento – sostiene Riccardo Cattaneo-Vietti, professore ordinario di Ecologia all’’Università Politecnica delle Marche - l’Italia ha la possibilità di ritrovarsi, senza alcun costo, una barriera artificiale già costruita e posizionata. Un’opportunità fortuita, offerta dalle piattaforme subacquee costruite all’Isola del Giglio su cui è stato posizionato il relitto della Concordia, prima di procedere al suo rigalleggiamento. Demolire queste strutture, oltre all’evidente costo, può essere ancora una volta una fonte di inquinamento per quelle acque. A questo punto, è meglio lasciar fare alla natura”.
"Prima di tutto – afferma Francesco Cinelli, già professore ordinario di Ecologia all’Università di Pisa - la proposta di smantellare tutto e di riportare il fondale “alle origini”, una volta rimossa la Concordia, fu fatta sull’onda dell’emergenza e dello shock dell’evento e di un protocollo firmato in fretta e furia, non conoscendo assolutamente quali sarebbero stati i sistemi di recupero da utilizzare e le relative strutture da mettere a mare".

Fonte: www.ansa.it

venerdì 17 ottobre 2014

Biodiversità del Mediterraneo a rischio!




L’arrivo di circa 1.000 tra pesci, crostacei e alghe sta modificando l’habitat marino
La più famosa è sicuramente lei, la Caulerpa taxipholia. L’alga di origine tropicale, colore verde chiaro e alto potere infestante, è stata per anni il simbolo dell’invasione «aliena» del mar Mediterraneo, colpevole di averne colonizzato i fondali rubando spazio alle specie autoctone. Ma oggi le file degli inquilini stranieri provenienti da mari esotici e lontani (specie «aliene» o «alloctone») si sono ingrossate. E contano nomi come le triglie del Mar Rosso Upeneus pori e Upeneus moluccensis, il granchio Percnon gibbesi, la medusa Rhopilema nomadica e molti altri ancora. Un’invasione biologica senza precedenti che mette a rischio la biodiversità: ogni giorno pesci e invertebrati nativi del Mare Nostrum, già stressati da pesca eccessiva e inquinamento, infatti, devono competere duramente con gli «intrusi» per preservare il proprio habitat. E la vittoria non è sempre scontata.  Sotto accusa - ancora una volta - le attività umane. «Il trasporto via mare, l’acquacoltura e l’apertura dei grandi canali di comunicazione - spiega Stelios Katsanevakis, lo scienziato che guida il gruppo di ricerca che ha elaborato lo studio - hanno rimosso le barriere ambientali per le specie marine, che possono facilmente trasferirsi lontano dal loro areale naturale». Esaminando i dati di oltre 900 specie esotiche attraverso la nuova piattaforma EASIN (European Alien Species Information Network) i ricercatori sono riusciti a stabilirne la diffusione e le vie di introduzione. Più di 400 specie di pesci e invertebrati sono giunte dal Canale di Suez («specie lessepsiane»); poco più di 300 attraverso l’acqua di zavorra delle navi o attaccate alle carene. Circa 60 specie, soprattutto alghe, sono state introdotte accidentalmente attraverso l’acquacoltura. Colpevole anche il riscaldamento globale: le acque tra Turchia meridionale, Siria, Libano, Israele, Gaza, Cipro ed Egitto sono diventate notevolmente più calde negli ultimi 20 anni, quindi ideali per la sopravvivenza delle specie provenienti da Mar Rosso, Mar Arabico e Oceano Indiano. In questa regione del Mediterraneo, dice lo studio, fino al 40% della fauna marina è di origine «aliena».

A preoccupare maggiormente sono gli impatti ecologici ed economici di queste invasioni. Basti pensare ai pesci Siganus luridus e Siganus rivulatus («pesce coniglio»), insediatisi nel Mediterraneo orientale dall’Oceano Indiano, che stanno devastando le foreste di alghe brune a scapito delle specie che popolavano l’ecosistema. Sciami di meduse «aliene» (Rhopilema nomadica) appaiono lungo le coste per decine di chilometri con effetti negativi sul turismo, e addirittura in Israele ostacolano le attività di pesca. Altrove le comunità native di alghe, coralli e invertebrati muoiono per la mancanza di risorse causata dalla rapida crescita dell’alga Caulerpa cylindracea, che può formare tappeti di 15 centimetri di spessore e che colpisce molte località nel nostro paese. «In Italia le aree più colpite - precisa Katsanevakis - sono la costa orientale della Sicilia, il Mar Ligure e le coste adriatiche settentrionali nei pressi della laguna di Venezia. Le prime due aree sono interessate dalle specie trasportate dalle navi, mentre la laguna è colonizzata da quelle di acquacoltura».
Per arginare il fenomeno ed evitare nuove introduzioni, l’Organizzazione Marittima Internazionale ha adottato la «Ballast Water Management Convention», che obbliga le navi al trattamento delle acque di zavorra per eliminare i microrganismi estranei presenti. La convenzione però non è ancora entrata in vigore perché non ratificata da un numero sufficiente di Stati. 

Fonte: www.mondomarino.net

martedì 16 settembre 2014

Recensioni letterarie

Finalmente la mia libreria ospita questi 2 nuovi volumi dedicati al Mediterraneo!
Si tratta di 2 libri che ritengo non possano mancare sugli scaffali di ogni subacqueo che ama il Mare Nostrum!

Come dico sempre per vedere bisogna conoscere e questi libri permettono di dare un nome agli organismi che incontriamo!


Atlante di flora e fauna del Mediterraneo è arrivato alla sua 5° edizione ed è curato da Egidio Trainito e Rossella Baldacconi.
Si tratta di una guida semplice corredata da 2150 fotografie a colori. In 432 pagine, 96 più della precedente edizione, sono rappresentate 1240 specie diverse, fotografate in ambiente naturale, a formare la più completa documentazione fotografica mai pubblicata sugli organismi che popolano il Mediterraneo. Dalla Turchia alla Spagna, dal canale di Sicilia alla Liguria, dall’Adriatico allo stretto di Messina, tutta la varietà degli organismi mediterranei, le specie protette e le new entries da Pacifico, Mar Rosso e Atlantico formano un testo indispensabile per i subacquei, gli studenti e per tutti coloro che amano il Mediterraneo.


Nudibranchi del Mediterrano descrive con immagini e testi TUTTE LE SPECIE conosciute per il Mediterraneo appartenenti agli ordini Nudibranchia, con la descrizione di una nuova specie, Sacoglossa, Umbraculida, Anaspidea e Pleurobranchomorpha e cenni sugli altri. Testi rigorosi, ma semplici introducono all’argomento e inquadrano ordini, famiglie e singole specie, per ciascuna delle quali vengono indicate la zona biogeografica di appartenenza, le dimensioni e le caratteristiche particolari utili al riconoscimento sul campo. Le immagini riproducono le diverse specie in modo da consentire una facile identificazione sul campo e nei casi di variabilità della specie sono rappresentati più esemplari per inquadrarla. In assenza di immagini fotografiche vengono riprodotti i disegni originali dell’autore che ha pubblicato la specie. Infine, tavole specifiche aiutano a distinguere gruppi di specie dall’aspetto molto simile e ad approfondire specie poco conosciute o dalla sistematica controversa. Inoltre viene descritta una nuova specie di Tritonia (Nudibranchia) associata al corallo rosso.

martedì 12 agosto 2014

Come reagirà il Mediterraneo ai cambiamenti climatici


Uno studio condotto da alcuni ricercatori dell'Università di Bologna ha delineato lo scenario che potremmo avere di fronte a causa dei cambiamenti climatici.
 
Lo studio è stato condotto nell’intorno di un cratere vulcanico sottomarino al largo dell’isola di Panarea, dal quale fuoriescono emissioni continue di anidride carbonica (CO2) che aumentano l’acidità dell’acqua circostante. Spostandosi dal centro del cratere verso la periferia si crea un gradiente di acidità che rispecchia i valori previsti per gli oceani del globo per il 2100.

Lo scopo della ricerca è stato di valutare come alcune specie chiave del Mediterraneo reagiscono all’aumento dell’acidità del mare previsto per il prossimo futuro, studiando le loro strutture carbonatiche (ovvero costituite da carbonato di calcio come lo scheletro dei coralli, le conchiglie dei molluschi o le strutture prodotte da alcune alghe) e la loro abbondanza lungo questo gradiente naturale di acidità, che presenta oggi le caratteristiche dei mari del futuro. Le specie modello della ricerca sono state il corallo Balanophyllia europaea, il mollusco Vermetus triqueter, due alghe brune, Padina pavonica e Lobophora variegata e l’alga verde Acetabularia acetabulum. Lo studio ha evidenziato come, all’aumentare dell’acidità, mentre le caratteristiche mineralogiche dello scheletro del corallo e della conchiglia del mollusco rimanevano quasi invariate, quelle delle alghe diminuivano la concentrazione del carbonato di calcio (che si dissolveva), a favore di minerali più resistenti alla acidità. Avvicinandosi
al cratere, nel punto più acido, si trovavano solo le alghe. Ciò suggerisce che in un mare acidificato come quello previsto nei prossimi decenni, organismi animali come coralli e molluschi e altri calcificanti potrebbero diminuire la loro abbondanza a favore di organismi vegetali come le alghe, che sembrano più in grado di reagire alle variazioni ambientali, con conseguenze molto importanti sull’intero ecosistema marino.

Questo studio offre molti spunti di riflessione sulle diverse risposte biologiche che gli organismi sono in grado di dare agli stimoli ambientali suggerendo che la biodiversità del Mediterraneo potrebbe essere fortemente modificata dai cambiamenti climatici in atto.

Il cratere vulcanico sommerso di Panarea rappresenta uno dei quattro sito noti al mondo, dove la acidità dell’acqua del mare di oggi ha i valori previsti per la fine del secolo per gli oceani del Pianeta. Un vero viaggio nel futuro; un importantissimo laboratorio naturale.


Fonte: www.lescienze.it

giovedì 10 luglio 2014

Thuridilla hopei

Nelle ultime immersioni - nel nostro golfo sia all'Argentario - ci è capitato di imbatterci in questo simpatico animaletto!
Vediamo di conoscerlo meglio!
 
Thuridilla hopei è spesso scambiato per un nudibranco. In realtà  si tratta di un mollusco sacoglosso: infatti non presenta appendici dorsali. Vive a basse profondità su fondali rocciosi ricchi di alghe di cui si nutre. Raramente supera i 3 cm di lunghezza.
Tipica la sua colorazione, fatta di fasce marginali luminose gialle, azzurre e bianche, il tutto su di un corpo di un colore violetto brillante. I rinofori sono di colore giallo oro, orlati di azzurro.  il suo sistema difensivo : emette una sorta di sostanza acida prodotta da alcune ghiandole dorsali molto specializzate
 
 
 
Particolare dei rinofori


domenica 8 giugno 2014

L'aragosta


L'aragosta, nome scientifico Palinurus elephas, è un crostaceo appartenente alla famiglia dei Decapodi.
Vive su fondali rocciosi fino a 100 m di profondità. Durante i mesi invernali migra verso zone più profonde.
Predilige le pareti verticali ricche di anfratti e spaccature in cui si nasconde, spesso in gruppi numerosi. E' un animale notturno, durante il giorno resta intanato all'interno di anfratti e spaccature rocciose da cui lascia sporgere solo le antenne che, eccezionalmente, possono essere lunghe anche 80 cm. 
Nonostante sia sprovvisto di chele riesce a frantumare i bivalvi e i gasteropodi di cui si nutre, all'occorrenza non disdegna nemmeno animali morti.
Può raggiungere i 55 cm di lunghezza.


giovedì 1 maggio 2014

Lo squalo elefante


E dopo lo squalo volpe, vediamo di conoscere meglio lo squalo elefante!
 
Lo squalo elefante, o cetorino, è uno dei più grandi animali marini italiani, secondo per dimensioni solo alla balenottera. Instancabile nuotatore, è capace di attraversare interi oceani per raggiungere le correnti ricche del plancton di cui si nutre.
 
Per saperne di più cliccate sotto: si tratta del rimando agli articoli pubblicati sul sito di Operazione Squalo Elefante. Troverete tantissime informazioni utili!
 

domenica 23 marzo 2014

Nuovi inquilini in Mediterraneo

 
 
Specie tropicali che arrivano, specie d'acqua fredda che se ne vanno. Nel Mar Mediterraneo la biodiversità sta mutando e la causa principale è il cambiamento climatico che riscalda le acque. A spiegarlo il biologo marino Ferdinando Boero, dell'università del Salento, nel convegno 'Gestione sostenibile del Mare Mediterraneo', organizzato a Roma dall'Accademia dei Lincei per la Giornata mondiale dell'acqua.
Nel Mediterraneo, a causa del riscaldamento, si registrano due fenomeni: ''la meridionalizzazione, cioè lo spostamento delle specie verso Nord, e la tropicalizzazione, cioè l'insediamento di specie tropicali che formano popolazioni importanti e sono competitivamente superiori alle specie preesistenti, che in acque più calde si trovano in condizioni sfavorevoli'', ha detto Boero.
A portare nuovi inquilini nel Mare Nostrum sono anche le navi, che ''trasferiscono circa 10-12 miliardi di tonnellate di acqua di zavorra in tutto il mondo ogni anno, insieme a migliaia di specie marine'', ha osservato Andrea Cogliolo, deputy general manager della Rina Services. ''In qualsiasi momento da 3.000 a 4.500 specie diverse sono presenti nelle acque di zavorra; la stragrande maggioranza non sopravvive al viaggio, ma alcune possono trovare condizioni favorevoli e diventare invasive, modificando interi ecosistemi''.
Proprio le navi, secondo Boero, hanno portato nell'Adriatico una specie di medusa finora sconosciuta, appartenente al genere Pelagia, che prenderà il nome del biologo marino croato Adam Benovic scomparso 2 anni fa. A cambiare la biodiversità, non solo nel Mediterraneo, è poi la pesca insostenibile. ''Con un eccesso di pesca abbiamo tolto i pesci grandi dal mare, e ora peschiamo i pesci più piccoli per farne mangime per l'itticoltura. La natura non ama il vuoto, che è stato riempito dalle meduse'', ha osservato Boero. In pratica ''siamo passati da un mare di pesci a un mare di meduse''.
 
Fonte: www.ansa.it

domenica 2 marzo 2014

La predazione del cavalluccio marino

 
 
La singolare forma della testa a cui il cavalluccio marino deve il suo nome comune, si è evoluta per permettergli di avvicinarsi alla preda senza farsi scoprire. A spiegarlo è uno studio pubblicato su “Nature Communications” condotto da tre ricercatori dell'Università del Texas ad Austin.

I cavallucci marini, come altri membri della famiglia dei signatidi, quali i pesci ago e i dragoni di mare, si nutrono di copepodi, minuscoli crostacei presenti nel plancton. Per riuscire a cacciarli hanno però dovuto superare un grosso problema: i cavallucci marini sono nuotatori molto lenti, mentre i copepodi sono in grado di muoversi molto rapidamente quando devono fuggire. A complicare la cosa c'è poi il fatto che i cavallucci marini catturano la preda combinando due azioni: una rapida rotazione della testa verso l'alto, resa più agevole dalla forma a S del corpo, e un'aspirazione che risucchia la preda nella bocca.
Questa tecnica però è efficace solo su distanze molto ravvicinate, sia per la limitata estensione del collo dell'animale, sia per il limitato raggio d'azione dell'aspirazione. I cavallucci marini, insomma, sono costretti ad avvicinarsi notevolmente alla preda per sperare di impadronirsene. E come facesse un nuotatore così lento a portare a termine questa manovra di avvicinamento ha sempre lasciato perplessi i biologi.

Brad Gemmell e colleghi hanno risolto l'enigma utilizzando una tecnica di olografia digitale in linea che ha permesso di catturare immagini in 3D della testa del cavalluccio marino e successivamente di rilevare il movimento dell'acqua circostante.

Hanno
così scoperto che mentre il cavalluccio marino si avvicina alla preda, l' acqua intorno al suo muso si muove pochissimo: un fattore essenziale per la riuscita della caccia, dato che i copepodi sono particolarmente sensibili ai segnali idrodinamici, a cui sono in grado di rispondere, se insospettiti, nel giro di 2-4 millisecondi.

Eseguendo le stesse rilevazioni sui pesci ago, parenti stretti dei cavallucci marini, ma con una conformazione del capo differente, I ricercatori hanno ottenuto la conferma che è proprio la forma della testa a creare una regione idrodinamicamente silenziosa davanti al cavalluccio marino.
 
 E sotto il link per vedere il video della predazione del cavalluccio
 
 
Fonte: www.lescienze.it

sabato 18 gennaio 2014

L'inaspettata efficienza locomotoria delle meduse

 
Contrariamente a quanto creduto, il sistema di propulsione di questi celenterati sfrutta i vortici che il loro movimento crea nell'acqua per abbattere i costi energetici di spostamento. Il risparmio di risorse così ottenuto è investito nella crescita e nella riproduzione, rendendo le meduse molto competitive rispetto ai pesci.
 
i ricercatori hanno esaminato la medusa quadrifoglio (Aurelia aurita) valutandone i costi energetici di spostamento e mettendoli a confronto con quelli di svariate altre specie, dai cefalopodi ai pesci passando per i crostacei. Da questa analisi è risultato che, una volta tenuto conto delle differenze fra i tassi metabolici delle diverse specie, le meduse, contrariamente a quanto pensato, usano uno dei metodi di propulsione energeticamente più efficienti del mondo animale che consente loro di raggiungere un costo di trasporto (misurato in joule per chilogrammo per metro) inferiore a quello degli altri animali.
Queste prestazioni sono rese possibili da un meccanismo unico di ricattura passiva dell'energia. Grazie a una serie di tecniche di visualizzazione dei moti dell'acqua
messi a punto di recente e calcoli di fluidodinamica computazionale, i ricercatori hanno valutato che la formazione di vortici ad anello sotto l'ombrello (come è chiamata la caratteristica struttura a sacco delle meduse) durante la fase di allargamento che precede la fase di spinta, permette all'animale di migliorare del 48 per cento il costo dello spostamento. Questo si traduce in una richiesta energetica inferiore, che permette di liberare risorse utili a raggiungere grandi dimensioni, che a loro volta permettono di entrare in contatto con un maggior numero di prede, e alla riproduzione.
 
Sotto trovate il link del video che spiega il sistema di propulsione

La scoperta, osservano i ricercatori, potrà avere interessanti ricadute per la progettazione di dispositivi subacquei che richiedano una propulsione dai bassi consumi energetici.