venerdì 26 ottobre 2012

Le balene sono diventate più silenziose

 
Cresce la preoccupazione che il rumore generato negli oceani dall'uomo possa danneggiare gli animali marini che si basano sul suono per comunicare e navigare. A segnalarlo è la ricerca condotta da Michael Stocker e Tom Reuterdahl, dell'istituto Ricerca e conservazione dell'oceano di Lagunitas, in California, e presentata a Kansas City, nel convegno dell'Acoustical Society of America (Asa).
 
Secondo lo studio il rumore di fondo degli oceani sia diventato fino a dieci volte più forte rispetto a 50 anni fa. Un nuovo modello scientifico suggerisce che 200 anni fa, prima dell'era industriale della caccia alle balene, il rumore marino era ancora più forte di quello attuale a causa dei suoni emessi dalle balene. Utilizzando le stime della popolazione storica, gli studiosi hanno assegnato dei "valori di generazione sonora" alle specie di cui disponevano dati utili sulla vocalizzazione. "Ad esempio, 350.000 balenottere nel Nord Atlantico potrebbero aver contribuito a generare 126 decibel nel livello del suono dell'ambiente oceanico agli inizi del 19 secolo, come un moderno concerto rock", osserva Stocker. Rumore che sarebbe stato emesso ad una di frequenza di 18-22 hertz. Secondo i ricercatori, l'uso dei documenti di caccia per determinare la quantità di balene pescate durante l'epoca della caccia alla balena a livello industriale risulta difficile, perché "i capitani venivano tassati sulle loro catture e questo era un incentivo a 'truccare' i numeri", spiega Stocker. Ad esempio, per quanto riguarda i territori russi, solo in seguito al crollo dell'Unione Sovietica cominciarono ad emergere i dati reali su questa pratica. "Verso la metà degli anni '60 le balene cacciate erano 48.000 invece che le 2.710 indicate in precedenza''. Secondo lo studioso "si può supporre che gli animali si siano adattati al rumore biologico nel corso degli anni, ma non può essere il caso del rumore di origine umana, che è spesso più ampia banda e diversamente strutturato dal rumore naturale e con effetti probabilmente differenti sugli animali.
 
Fonte: www.ansa.it

martedì 9 ottobre 2012

L'archeologia può essere utile per studiare i pesci!

 
Nel post precedente abbiamo riportato la sconfortante notizia che a causa del riscaldamento globale nel giro di qualche decennio vedremo pesci sempre più piccoli.
In questo post pubblichiamo un'altra notizia legata sempre alla taglia dei pesci!
 
Chi ritiene che le materie umanistiche siano inutili nella società di oggi, dovrà ricredersi leggerndo l'esempio di questo studio recentemente pubblicato sulla rivista Scientific American e su Frontiers in Ecology and the Environment.
Tutto è partito con un mosaico romano custodito nel Bardo National Museum di Tunisi: l'opera raffigura una cernia bruna così grande da essere in grado di mangiare un pescatore. I due autori della ricerca, Paolo Guidetti dell'università del Salento e Fiorenza Micheli della Stanford University, hanno poi effettuato confronti con altri reperti simili, per verificare che la rappresentazione tunisina non fosse frutto solo di una "licenza artistica" dell'artigiano ideatore della raffigurazione.
Su 37 mosaici etruschi, greci e romani presi in esame, sono state individuate 23 cernie brune, tutte di taglia maggiore rispetto a quelle attuali, tanto da aver meritato, in alcuni casi, l'appellativo di "mostri marini". I metodi di pesca - con reti e arpioni - sono poi risultati molto diversi da quelli di oggi, se non inefficaci, perché questi pesci vivono molto in profondità.
I dati raccolti consentono di affermare che al di fuori delle aree protette le cernie non stanno recuperando le dimensioni originali, e anche all'interno di queste non sono grandi come qualche millennio fa. Secondo Micheli "Una indicazione che si potrebbe trarre è che servirebbe una moratoria totale sulla pesca delle cernie, ma questo è molto difficile, perché questi pesci sono uno degli obiettivi preferiti della pesca sportiva".
 
 

mercoledì 3 ottobre 2012

I pesci si restringono?!



La ricerca è stata pubblicata dal giornale Nature Climate Change.

Nel 2050, il più grande pesce di mare potrebbe avere dimensioni inferiori del 25 per cento rispetto a quelle attuali a causa del riscaldamento globale. Lo rivela un nuovo studio, ripreso dal The Indipendent. Oceani più caldi porteranno meno ossigeno disciolto, determinando una crescita più contenuta dei pesci e costringendoli a spostarsi verso acque più fredde, indica la ricerca pubblicata dal giornale Nature Climate Change. Gli scienziati prevedono che una crescita delle temperature globali nei prossimi decenni provocherà un calo tra il 14 e il 24 per cento delle dimensioni dei pesci. Una previsione fondata su uno studio oltre 600 specie di pesci d'acqua salata.
 
 
Fonte: www.ansa.it